Vincenzo Marzocchini

Ritratti e autoritratti
Vedersi e ri-vedersi (ma anche rivelarsi)

La Foto-ritratto è un campo chiuso di forze.
Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano,
vi si deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono
contemporaneamente: quello che io credo di essere,
quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo
crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra
della sua arte. (1)
Roland Barthes

Il ritratto dell’Ottocento ha oscillato tra l’offrire un’immagine di sé e l’attribuzione di un’anima al volto. Nel Novecento prevale la ricerca dell’identità, ma anche l’idea di esibizionismo e narcisismo che affondano comunque le loro radici nella seconda metà del secolo precedente.
Ora, nell’epoca attuale, agli inizi del terzo millennio, gli artisti sono impegnati sempre più a scavare nella realtà interiore propria e altrui.
Scuotere il mondo figurativo equivale a mettere in questione le garanzie dell’esistenza. L’ingenuo crede che la figura sia l’esperienza più sicura che l’uomo possiede di se stesso e non osa negare tale certezza, benché dubiti delle proprie esperienze interiori. Egli si immagina che in rapporto a quanto vi è di indeterminato nell’esperienza interiore, l’esperienza diretta del suo corpo costituisca l’unità biologica più certa. (2)
L’artista Kim Engels ci propone delle precise parole chiave per comprendere le varie serie di ritratti da lei realizzati: ogni serie è un’idea: consapevolezza, risveglio, manifestazione dell’essere e del doppio; il ruolo, ma anche il gioco da svolgere all’interno della coppia dove, per esempio, non tutto è maschio come non tutto è femmina (Awareness/Awakening).
L’autrice va all’alfa, all’archetipo dell’identità sessuale, ad Adamo ed Eva: ma questa volta nelle pose in studio, anche se in verità un po’ rigide, è Adamo che offre la mela.
All’interno di ciascun individuo entrambe le forze, il femminile ed il maschile, sono presenti. Ogni individuo si realizza nella ricerca di un equilibrio tra le forze; è un insieme di anima e ragione, di cuore e cervello, di emotività e razionalità.
La serie double-face (Image réfléchie) messa in atto dalla fotografa olandese è una verifica dei valori attraverso il confronto tradizione e mutamenti socio-culturali.
Con una squisita trovata tecnica, Kim produce una metafora linguistica che viene resa concreta e visibile in cinque fotogrammi di ritratti frontali: icone che da uno scatto all’altro lentamente si sfaldano, sbiadiscono, scoloriscono, si annebbiano (Fading Memories). Semplice, efficace idea per rappresentare, rendere evidente come il passato, i ricordi, le memorie si offuscano nella mente.
E’ così che freudianamente la nostra psiche si difende dai brutti ricordi, dalle esperienze dolorose: li rimuove, li cancella, li stempera. Ci piace meno che questo sia anche conseguenza dell’avanzare dell’età.
Nelle coppie vestito-nudo (The alpha and the omega of the manifested being) c’è il gioco dell’identità sessuale che si manifesta ora celata, ora incerta.
E risveglio di pulsioni, ricerca dell’identità appare anche nelle coppie di donne proposte nella versione velata e non (Image réfléchie), dove il gioco della consapevolezza di sé, della fierezza di essere donna sfocia in un più ampio e attualissimo discorso culturale.
Soprattutto, nei lavori della Engels non bisogna dimenticare che ogni incontro tra il dentro e il fuori ed ogni contatto con un altro essere è una possibilità di cambiamento: è il fatto che nei ritratti che facciamo agli altri ci ritraiamo anche noi, seppur indirettamente. Nel ritrarre gli altri ci avventuriamo in una ricerca che riguarda innanzitutto noi. Quando scegliamo in piena libertà una persona da ritrarre è perché qualcosa di lei ci attira, o ci intriga per dei motivi non facilmente razionalizzabili, se non destinati a restare per sempre oscuri. (3)
Ciò che emerge con intensità e ridondanza nei ragionati ritratti di Kim Engels è un forte desiderio di comunicazione, di ricerca di esperienze e di conoscenza di sé e dell’altro.
Fondamentalmente è un kafkiano conosci te stesso, un’apertura totalizzante, onnicomprensiva verso gli altri esseri, un impulso a penetrare fisicamente e nell’interiorità della persona con la quale si instaura un feeling.
Per me fotografare è un modo di toccare qualcuno, una forma di tenerezza. (4)

Vincenzo Marzocchini
Note
(1) Roland Barthes, La camera chiara, Ed. Einaudi 2003, p. 15.
(2) Cit. di Einstein in: Georges Didi-Huberman, Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, Ed. Bollati Boringhieri
2000, p. 177.
(3) Roberto Salbitani, in Vincenzo Marzocchini: L’immagine di sé. Il ritratto fotografico tra ‘800 e ‘900., Ed. Lanterna
Magica 2010, p. 106.
(4) Nan Goldin, in Uta Grosenick (a cura di): Le donne e l’arte nel XX e XXI secolo, Ed. Taschen 2004, p. 64.

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